Il cielo notturno è diventato una tela sporca e sconosciuta a causa dell’illuminazione artificiale. La maggior parte delle persone non ha mai visto la Via Lattea, e in molte città, la maggior parte delle stelle è invisibile a occhio nudo. La luce blu emessa da luci pubbliche, finestre, lampioni e fari a LED danneggia l’ecosistema notturno e disturba il ciclo circadiano umano, favorendo l’insorgere di malattie come il cancro, il diabete e la depressione. Gli epidemiologi considerano la scomparsa della notte un fattore di rischio, equiparabile all’inquinamento, all’alcol e al fumo. Il Parlamento europeo chiede di ridurre l’uso della luce artificiale esterna entro il 2030. Anche nello spazio, i satelliti per le telecomunicazioni creano ostacoli per gli astronomi. La vita naturale è gravemente colpita, con gli uccelli migratori che deviano dalla rotta, le piante che non riconoscono più l’inizio dell’inverno e molti insetti a rischio di estinzione. Protege Noctem è un progetto che documenta gli sforzi di scienziati e cittadini per contrastare la scomparsa della notte e proteggere la sua biodiversità.
Ne abbiamo parlato con l’autore, Mattia Balsamini, durante le giornate inaugurali del Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia
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L’intervista
Nato a Pordenone, Mattia Balsamini si è trasferito a Los Angeles nel 2008, dove ha iniziato gli studi al Brooks Institute. Nel 2010 ha iniziato a lavorare presso lo studio di David LaChapelle come assistente di studio e archivista. Nel 2011, dopo aver conseguito la laurea con menzione d’onore, è tornato in Italia. Insegna fotografia all’Università IUAV di Venezia e fotografa ampiamente la tecnologia e le sue implicazioni sociali, concentrandosi sul lavoro come fattore di identità. Nel corso degli anni ha realizzato progetti personali ed editoriali in collaborazione con istituzioni come il MIT, la NASA, la Charitè University di Berlino e l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Zurigo. Il suo lavoro è stato esposto alla Triennale di Milano, al MAXXI, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e all’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco.
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